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Trasmigrare

Per la stessa propensione verso remoti alfabeti si può pensare ad Arnaldo Pomodoro. Ma se lo scultore romagnolo equilibra le geometrie esterne e quelle scavate all’interno dell’opera. Celiberti tende a cancellarle. I misteri, gli anfratti, le ferite, le ombre sono tutte lì, sulla superficie, ostentate. La differenza nella dimensione dei segni alfabetici, serve all’artista per raggiungere effetti di prospettiva in cui inserire le vibrazioni del dramma. Allo stesso modo, nelle stele, negli obelischi, nelle pietre l’artista ha travasato il senso di giorni oscuri e muti celando segreti impenetrabili. La forza di suggestione legata agli oggetti “noti” è confermata dalla loro sensitività. La finestra, apertura destinata a dar luce, consente anche la vista, e di ricomparire (una volta cacciati dalla porta!...). Le finestre di Celiberti sono oggetti autonomi, eppur rappresentativi di tante situazioni visive, letterarie, musicali, ma anche personali, soggettive. Ricordo il titolo, una delle finestre sull’Elba dello studio di Friedrich, con cui vestii uno dei miracoli di Celiberti della mia esperienza mnemonico-visiva e affettiva. È il mistero della creatività che si cela in un particolare e da questo si trasmette all’opera e all’uomo che l’ha composta. Nel rapporto con l’oggetto finestra Celiberti ha dato vita a episodi amplificati, si è abbandonato alla fiction, ha alterato, ha inventato. Ha mitizzato la realtà dell’oggetto, strumento dell’immaginario, senza tralasciarne la storia: piccola finestra, grande finestra, finestra strombata, finestra con anta, finestra a cornice chiusa da vetro, finestra con imposta di legno.
Confine del dentro e del fuori, la finestra traspare il cielo. Oggetto solido e immerso nel silenzio come in un elemento che lo ricopre e lo rifonda nell’atmosfera luminosa. Se un segno o un colore incrina l’aria di vetro, sono note di un tacito disporsi delle cose in un attimo di pausa o di alta concentrazione.
La culla, lo specchio, la ruota sono rappresentazioni amiche della memoria e del sogno, inzuppate di nobiltà e di purezza, di sangue e di astrazione, idee dell’arte che superano e quasi dirigono la vita.
Il comportamento e la scelta di Celiberti sono opposti alla pop, ai suoi metodi di inglobare tecniche e materiali della cultura del consumo. I suoi oggetti muovono impulsi profondi. L’artista non cede a una civiltà elaborata per mezzo di immagini, anche se crede che ciascun oggetto diventi segno che assume significati diversi e che ognuno può decifrare come crede. Infatti insiste sulla qualità del segno, affidandosi alle tecniche consumate del suo dialogo nell’organismo narrativo. Ricostruisce un’oggettività dinamica da noi perduta nella contemplazione della culla, dello specchio, della ruota. Si forma un andirivieni che coinvolge l’artista, l’opera, la massa, l’individuo; una forza che si nutre dello sconfinato territorio dell’arte.

(in Giorgio Celiberti. Trasmigrazioni, catalogo della mostra, Museo MGC Klovićevi Dvori, Zagabria, 1998)

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